Applicazione del metodo BIM nel Pubblico e nel privato: intervista con gli avvocati Versolato e Barutta, esperti in Legal BIM

Per parlare di Legal BIM e dell’applicazione di questo metodo da parte delle pubbliche amministrazioni e delle realtà private abbiamo deciso di interpellare dei professionisti che ne hanno una vasta esperienza: gli avvocati Andrea Versolato e Cristian Barutta, che sull’argomento vantano anche diverse docenze. Prima di addentrarci nel mondo del Legal BIM, conosciamo più da vicino i nostri interlocutori.

L’avvocato Andrea Versolato ha iniziato ad occuparsi del cosiddetto Legal BIM sin dal 2013, nell’ambito della consulenza da lui prestata ad una società che stava realizzando una grande opera infrastrutturale di interesse nazionale.

A far data dal 2014 ha coinvolto nello studio della materia anche il suo collega di studio, l’avvocato Cristian Barutta, con cui oggi si occupa di consulenza e formazione in materia di Legal BIM.

Entrambi intervengono come relatori sulla materia degli appalti pubblici e del BIM a convegni, workshop e lezioni frontali, organizzati da Pubbliche Amministrazioni, ordini professionali e società private.

Dal 2015, inoltre, sono tra i docenti del Master di II Livello intitolato: “BIM Manager” organizzato dal Politecnico di Milano Scuola Master Fratelli Pesenti e nel corso del 2020 hanno tenuto docenze sul tema del Legal BIM per il Master di II Livello, “BIM per la gestione di processi progettuali collaborativi in edifici nuovi ed esistenti”, dell’Università di Firenze e sulla normativa di riferimento del BIM al Master di I livello “Building Information Modeling” dell’Università di Udine.

Nel 2018 hanno fondato lo studio VBS con sede a Venezia.

A che punto, secondo voi, è arrivata l’applicazione del metodo BIM da parte delle pubbliche amministrazioni sulla base della vostra esperienza?

Dalla lettura del report OICE sulle gare BIM del 2020, emerge come nel corso dell’anno appena trascorso sono stati pubblicati 560 bandi con riferimento al BIM, con un volume che rappresenta l’8,7% del totale nel numero di tutti i bandi per servizi di ingegneria e architettura. Pur in presenza della pandemia da COVID 19 sì è notato un notevole balzo rispetto al 2019.

In tale conteso, rispetto alle docenze che svolgevamo nei primi tempi, oggi, le pubbliche amministrazioni risultano più attive anche per quanto riguarda la formazione sul BIM; si riscontra inoltre un’evoluzione della cosiddetta “maturità digitale” dei funzionari della P.A..

Fermo quanto sopra, il percorso di modernizzazione delle Committenza, necessario per meglio governare il cambiamento ed al contempo assicurare un’elevata qualità dei servizi, per quanto abbiamo potuto verificare, è ancora piuttosto lungo e probabilmente dovrebbe essere correlato alla qualificazione delle stazioni appaltanti, ex art. 38 del D.Lgs. 50 del 2016, ad oggi tuttavia non ancora attuata.

Per raggiungere, infatti, i benefici attesi dall’introduzione del metodo BIM, non si può prescindere dalla presenza, all’interno dell’amministrazione pubblica, di personale qualificato e aggiornato, in grado pertanto di individuare i propri fabbisogni in tema di digitalizzazione.

Per quanto riguarda i soggetti “privati” (studi di progettazione, società di ingegneria, imprese di costruzioni), vi sembrano più propensi e veloci rispetto alla Pubblica Amministrazione ad affrontare il cambiamento?

Sono due mondi diversi con esigenze e obiettivi differenti. Per i soggetti privati la questione viene affrontata in modo completamente diverso. Dipende innanzitutto da come hanno impostato la propria attività.

Una cosa possiamo dirla con certezza: quando nel 2014, con l’avvento delle direttiva appalti, si è iniziato nel mondo dei contratti pubblici a parlare del metodo BIM, la prima reazione da parte di molti operatori del settore delle costruzioni, soprattutto medio piccoli,  è stata di chiusura, dettata dalla convinzione che i costi per adeguarsi sarebbero stati soltanto un ulteriore appesantimento degli oneri da affrontare per accedere al mondo degli appalti pubblici, non cogliendo che la volontà del legislatore comunitario andava invece nella direzione opposta. Oggi, ad anni di distanza, il numero di coloro che si sono avvicinati al metodo BIM per lavori pubblici e che lo usa quotidianamente è cresciuto in modo esponenziale e continua ad aumentare sempre di più; il nuovo approccio metodologico è visto, inoltre, come un’opportunità ulteriore da usare non solo nel settore pubblico, ma anche privato.

Cosa manca ancora al quadro normativo nazionale in materia di metodo BIM per essere completo?

Il quadro normativo ha ancora delle carenze significative. Manca un decreto sul project management, sui livelli di progettazione e sulla qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza. Ad oggi non è ancora stata istituita la Commissione di monitoraggio prevista dal D.M 560 del 2017, che nell’intenzione del legislatore avrebbe dovuto individuare misure preventive o correttive per il superamento delle criticità emerse in sede di applicazione della nuova disciplina, anche al fine di consentire l’aggiornamento delle disposizioni dello stesso D.M. 560/2017.

Manca ancora, soprattutto, l’agognato e più volte preannunciato nuovo regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici che doveva essere adottato nell’ormai lontano dicembre 2019 e che dovrebbe, stando alle ultime bozze, ricomprendere le previsioni di cui al D.M. 560/2017 in modo da superare le contestazioni di illegittimità avanzate su quest’ultimo dal Consiglio di Stato con il Parere n. 00458/2019.

Legal BIM e metodo BIM

E la giurisprudenza? Come sta reagendo all’introduzione del metodo BIM nell’ordinamento italiano?

Al momento le uniche pronunce che ci risultano sono quelle dei tribunali amministrativi. Non abbiamo ancora conoscenza di pronunce dei tribunali ordinari aventi ad oggetto o che abbiano trattato questioni inerenti al metodo BIM.

D’altra parte nelle intenzioni del legislatore europeo, attraverso il BIM si mirava a deflazionare il contenzioso, posto che una corretta applicazione dell’approccio metodologico di cui trattasi porta ad una diminuzione dei vizi di progettazione, ad una riduzione dei tempi di realizzazione dell’opera oltre che ad una diminuzione del contenzioso.

Tuttavia siamo ancora ben lontani da un’interpretazione dei tribunali che si riveli sensibile agli aspetti tecnologici e alle valutazioni che questi comportano a livello di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa in termini BIM.

Basti pensare che nella recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, pubblicata il 10 dicembre 2020, n. 7098 i Giudici di Palazzo Spada non sono scesi nel merito delle censure tecniche dell’appellante – non andando a sindacare dal punto di vista tecnico l’operato della commissione di gara – nonostante parte appellante abbia motivato in tal senso alcune sue censure.

Se è ben vero che, in linea di principio, il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo non può sostituirsi alla discrezionalità tecnica della commissione di gara, è altrettanto vero che, sempre il Consiglio di Stato, con la sentenza di poco precedente a quella sopra citata, pubblicata il 2 settembre 2020, n. 6058, ha precisato che tuttavia il giudice amministrativo: “a fronte di censure tecniche numerose e particolarmente complesse circa la qualità tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria, idonee a superare la c.d. prova di resistenza, non può trincerarsi dietro ad una declaratoria di inammissibilità delle stesse per limpossibilità di esercitare un sindacato sostitutivo se non ha proceduto almeno ad un sommario, essenziale, esame delle stesse, nella misura in cui appunto le ritenga idonee a superare detta prova, un esame dal quale si evinca motivatamente che dette censure non disvelano unabnormità della valutazione, del tutto illogica e/o parziale, o un manifesto travisamento di fatti”.

Ad avviso della terza sezione del Consiglio di Stato è evidente, quindi, come risulti necessaria quanto meno una “sintetica disamina circa il contenuto delle censure tecniche” per la quale a nostro avviso è di fondamentale importanza l’intervento di un verificatore, pur nei limiti del sindacato del giudice amministrativo e nel rispetto dell’autonomia delle scelte della commissione di gara, se correttamente motivate, vista l’elevata complessità tecnica che l’approccio BIM richiede.

Verificatore che, con lungimirante saggezza, avevano nominato i giudici del TAR Lombardia prima di emanare la sentenza 1210/2017, ancor oggi, la prima vera sentenza BIM in Italia e, forse, quella – anche se riferita ad un appalto regolato dal precedente codice dei contratti pubblici e che quindi non prevedeva l’uso di metodi e strumenti specifici quali quelli di modellazione elettronica –  che ancor oggi ci sembra aver seguito la strada più corretta nel gestire l’impugnazione di un appalto che contempli l’approccio BIM rivolto ai lavori pubblici.

D’altra parte, quando con l’impugnazione vengono formulate specifiche censure sulla bontà tecnica di una soluzione piuttosto che di un’altra, la presenza di un “tecnico” che verifichi la logicità della scelta operata dalla commissione di gara darebbe maggiore garanzia che l’offerta prescelta dal punto di vista qualitativo sia stata effettivamente la migliore in chiave BIM.

Nel concludere la nostra intervista, che cosa vi augurate per il futuro del metodo BIM in Italia?

Ci auguriamo che il metodo BIM prenda sempre più piede e che possa effettivamente contribuire a far diminuire il contenzioso in materia di appalti, creando un circolo virtuoso nella realizzazione delle opere pubbliche e dando così il via ad una vera e propria rivoluzione culturale per il mondo delle opere pubbliche. Per fare ciò c’è ancora molto da lavorare soprattutto per sensibilizzare gli operatori del settore dei contratti pubblici spiegando loro che il BIM è, soprattutto, un’opportunità.